Tartufo? In Piemonte, certo. Ma il Molise non sta a guardare. Cresce come destinazione di raccolta per il tartufo la piccola regione meridionale, suscitando un’attenzione sempre maggiore da parte di cavatori e appassionati. Una tendenza, ancora non chiaramente emersa, ma che «rischia» nel lungo termine di fare un po’ ombra anche alla più nota e famosa Alba (che, beninteso, resta leader): ad oggi, infatti, il Molise possiederebbe il 40% della raccolta nazionale di tartufo e l’80% della produzione va all’export. È il trend di mercato che registra e comunica «MoliseFood», progetto di promozione di qualità enogastronomica e turistica.
Nelle zone più asciutte del Molise si raccoglie invece lo Scorzone, tartufo con forma globosa, con l’esterno detto scorza nera con verruche a forma di piramidi rigate in maniera trasversale. La polpa varia dal colore nocciola chiaro al bruno ed è attraversata da numerose venature bianche. Nella stessa zona di trova anche l’Uncinato, tartufo di colore nero con verruche a forma di piramide, la polpa è inizialmente biancastra poi diventa di colore nocciola e infine brunastra.
Però Mauro Carbone, general manager dell’Ente Turismo Langhe Monferrato Roero e direttore del Centro Nazionale Studi Tartufo di Alba, commenta così: «Mi dicano quanto tartufo producono nel loro territorio, e quanto se ne produce in Italia ogni anno, e allora potrò essere certo delle loro dichiarazioni. Prima di allora, sarebbe meglio evitare di fare sparare percentuali che sanno di boutade». Da più di vent’anni «lavoro per preservare, promuovere e tutelare il tartufo, a livello nazionale e internazionale – continua Carbone – per cui so benissimo che, uno dei nodi ancora irrisolti, è proprio la certificazione oggettiva della quantità di tuberi prodotta dai singoli territori. Se dal Molise volessero spiegare, in termini numerici e non in valore percentuale, da dove hanno ricavato questa informazione, e volessero condividere dati certi con gli operatori italiani del settore – conclude –gliene saremmo tutti molto grati».
FONTE: IL CORRIERE TORINO